lunedì 1 dicembre 2008

ANNA MOLLY_VII_Cap

Anna Molly non capiva.
Aveva troppe sensazioni che non la rendevano libera dai pensieri negativi. Aveva voglia che gli altri si accorgessero di lei, percepiva tutto come un disagio continuo, e pur chiedendosi cosa non andasse, trovava sempre il modo di buttarsi più giù e si deprimeva.
Sapeva che da sola non avrebbe risolto il suo problema e più lo teneva stretto più questo si impossessava di lei, inducendola alle azioni che lei stessa giudicava controproducenti su tutti i piani della vita.
L’ossessione per l’accettazione di sé era ormai diventata una sorta si droga, quando non si accettava si riempiva e si svuotava, si sentiva meglio, poi se riaccadeva, lo rifaceva. Più facile di così.
Molly sentiva verso le persone un’attrazione di supporto nei loro confronti, le piaceva star loro vicino perché lei ne aveva bisogno. Apprendeva il dolore che risiedeva nell’animo altrui e non sopportava che potessero sentirsi come lei, quindi cercava in tutti i modi di aiutarli, facendosi carico anche delle pene e del dolore. La sua non era compassione convenevole, era sincera, si sentiva quasi responsabile della loro situazione e se decideva di star loro vicino si comportava da amica.
Le persone si sono sempre fidate di lei, svelando anche la parte profonda di un animo che non si poteva neppure immaginare, quello che lei non mostrava.
Alle volte penso che non voleva ingombrare la vita degli altri con i suoi problemi, credeva che dato che erano un peso per lei figuriamoci per gli altri, inoltre pensava sempre che al “mondo” delle sue cose non importasse assolutamente niente, come il resto della sua vita.
Si commuoveva davanti ai visi tormentati altrui, aveva sempre voglia di ascoltare chi ne aveva bisogno, si prodigava per questo “Se hai bisogno di parlare, se vuoi sfogarti, sappi che ci sono”, non aveva paura di esporsi così, ma del contrario.
Emotivamente latitava affetto, era stitica, non si lasciava andare facilmente ad un ti voglio bene spontaneo, aspettava sempre che fosse qualcun altro a dirlo prima di lei.

“Sono due giorni che ho una voglia matta di morire.
Perché? Insomma non parlo di suicidio, ma solo una via di scampo dalla situazione che sto vivendo, una maniera, non per scavalcare l’ostacolo, ma eliminarlo completamente.
Cosa ci vuole? Io ho bisogno di parlarne e quando tengo tutto così dentro mi viene voglia solo di implodere. Chiudersi in se stessi non fa bene, ma qualche volta è l’unico modo per comprimere l’odio verso se stessi e non farlo sentire agli altri.
Spesso mi chiedo se veramente voglio vivere la vita che mi si sta svolgendo avanti gli occhi, non vedo via di scampo, non vedo una minima voglia di farmi forza.
Mi sento sola, di nuovo completamente troppo sola.
Lo so che non mi rendo conto di tutto quello che cazzo mi sta succedendo.
Mi faccio pena, schifo, mi odio, mi faccio del male ogni giorno di più e tutto perché non ho uno straccio di autostima e rispetto verso me stessa!
Trovo assolutamente inutile me stessa.
Odio tutto, mi viene voglia i spaccarmi la faccia ogni volta che mi guardo allo specchio, ecco che mi rimetto a piangere, ma come cazzo sono fatta male.
Oggi come se non bastasse sono stata anche mandata a fare in culo da un tizio che mi piaceva, ma che ovviamente come sempre c’erano problemi per sentirsi, ma lasciamo stare, tanto era una cosa completamente impossibile da poter reggere, quindi è andata bene com’è andata. Anche se ci si sta veramente di merda in tutto e per tutto!
Mi sento sempre di più una disadattata, come quelli che si chiudono dentro casa e non escono più, ecco io uguale, solo che sono chiusa nella mia corazza corporale, che ho costruito a puntino in questi anni della mia vita.
Non un minimo di sgarro per quella che mi sono imposta di essere anche se ultimamente sto perdendo colpi!
Perché questi problemi escono fuori tutti solo adesso!”

Anna Molly era una perfezionista. Odiava che qualunque cosa facesse non andasse secondo i suoi piani. Era disposta a qualsiasi tipo di sacrificio pur di terminare e vedere la faccia soddisfatta di chi magari le avesse chiesto un favore, un aiuto, una qualunque faccenda. Se non ne era in grado faceva in modo da poter apprendere nella maniera più celere e soddisfare le richieste.
Questo suo modo di porsi l’aveva resa affidabile e responsabile, ma la continua ricerca di questa perfezione aveva anche intaccato il suo cervello, dando forma a quella che era anche l’ossessione della perfezione del proprio aspetto.
Non andava mai bene nulla, qualunque cosa indossasse, mangiasse, mettesse nei capelli o alle orecchie, era sempre tutto inadatto, ma dopotutto era lei ad aver comprato tutto ciò.
Passava giorni in cui vestiva decentemente, altri giorni che se si metteva sotto un ponte poteva anche chiedere l’elemosina. Credo glie l’avrebbero fatta un po’ di carità.
Anche questa era una sofferenza per lei, rincorrere una perfezione che non esiste. Non lo capiva questo, per lei era assolutamente inconcepibile non riuscire ad esserlo. Chiunque incontrasse era meglio di lei, incarnavano tutti la perfezione che lei bramava, sarebbe stata capace di vendere l’anima al diavolo per questo. Un intero periodo all’inseguimento di qualcosa che non c’è. Mi faceva pena per questo, ma anche io non sapevo bene come aiutarla, avevo paura di quello che potesse scattare nella sua testa da un momento all’altro. Era imprevedibile da certi punti di vista.
Passava le serate a leggere libri ed ascoltare musica. La televisione la annoiava, oppure disegnava.
Disegnava una vita ideale, piena di colori vivaci, linee curve che donavano armonia al suo pensiero, ma la rabbia agiva subdolamente nella testa.
Aveva dimenticato cosa fosse la felicità e cercava di ricalcarla sui fogli con pennarelli e matite colorate, voleva essere felice e sentirsi bene.
Il livello di sopportazione del suo corpo nell’essere continuamente maltrattato era arrivato al limite.

1 commento:

AMARblog ha detto...

Nonostante il tempo possa ricordare qualche cittadina ingoiata dagli appennini non c'è nulla di autobiografico.
Mi serviva solo per giustificare il titolo!

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