venerdì 19 dicembre 2008

Vocapatch

Mia madre mi avvisa che il mio ordine gerarchico è cambiato. Niente soldi oggi, ho lasciato un casino in camera. Se il parentato si lamenta sempre della saponetta a terra, della poca benzina che lasci nella sua macchina, delle regole di una casa poco pulita o molto sporca, allora il 68 non è stata vera rivoluzione. Piuttosto un branco di caproni guidato da un gruppo che credeva di cambiare le cose.
Degli affiliati del cazzo convinti che il loro pensiero, in quanto giusto, non possa andare incontro a contraddizioni di fondo.
Eppure ci sarà un modo per farvi imparare a programmare il videoregistratore o i canali della televisione.
Ci sarà un modo per farvi imparare ad usare il computer.
Soprattutto ci sarà un modo per farvi capire che nel mondo degli adulti io non ci volgio nemmeno mettere piede.
Vorrebbe dire dover buttare ogni convinzione capitale per avere in cambio la sicurezza e l'accoglienza di una casa dove reprimere ulteriormente il cinismo che mi è stato trasmesso. Dove poter crescere un figlio cui insegnare l'altruismo e il rispetto, ma al quale il mio atteggiamento susciti almeno del sospetto.
Vorrebbe dire andare a letto con odio represso e morire nel sogno.
Ecco cosa volete per me: dovermi trovare un giorno a scegliere fra Bio Presto e un detersivo senza marca, ma che costa meno.
Scelgo il male. Scelgo di essere figlio. Scelgo di non imparare. Perchè quello che posso creare, in generale, è solo il male.

lunedì 15 dicembre 2008

ANNA MOLLY_IX_Cap

“Credo che un’avventura del genere possa raramente capitare. Da un’eccitazione ad una desolazione totale che non si può neppure immaginare. È incredibile come il mondo possa apparire surreale nonostante si viva giorno dopo giorno la realtà. Mi chiedo come si possa progettare un futuro se nemmeno si è sicuri del presente.
Oggi sicuramente l’ho capito più che mai un presente tira l’altro, è questo che costruisce il futuro, nient’altro. Al momento vorrei solo andarmene da qui…perché forse non è il mio posto.
Un solo istante, una sola ora, un solo giorno, completamente sola.
Ho avuto giorni migliori.
Non avrei mai creduto di poter arrivare a questa sensazione, ma nella vita c’è una prima volta per tutto.
Una solitudine che nemmeno nella mia stanza sono mai riuscita a sentire. Nonostante il luogo sia totalmente sommerso di gente, mi sento sola.
Sento il bisogno di una stabilità.
Avrò ancora voglia di cercarla, ma soprattutto, sto facendo qualche sforzo per trovarla?
Forse è una di quelle sensazioni passeggere delle quali si può fare a meno di curarle, semplicemente aspettando che passi e poi, vedere cos’accade nel futuro immediato.
Non è una condizione necessaria credo, ma col fatto che ora la vivo, sento come se la successione degli eventi portino di continuo solo in quella fottutissima direzione.
Sarà un segno che non riesco a cogliere? Sarà che la mia presenza qui è di troppo. Sarà che non ci capisco più un cazzo di niente? Non so. Mi viene solo in mente una terribile visione di quello che voglio fare ma che non riuscirò mai a realizzare. Una sensazione che non auguro a nessuno, anzi, eviterei anche di parlarne se solo non mi sentissi così giù in questi giorni.”

Anna Molly aveva avuto un periodo per evadere dalla solita monotonia della sua vita, ovviamente non mollò le sue abitudini, ma sperimentò quella parte di sé che ancora non si svelava del tutto, l’intraprendenza.
Partì, da sola.
L’esperienza l’aveva formata e non poco, anche se mentre si trovava sul luogo i pensieri non l’abbandonarono mai, perché il posto dove ti trovi spesso allevia la mente, ma non la libera specialmente quando è troppo ingombrata da malsane attitudini.
Quella vicenda la fece riflettere su come percepirsi in momenti di isolamento, aveva voglia di fuggire ma era decisamente impossibile. Non so a quanti possa essere successa una cosa simile: trovarsi in un luogo gonfio di gente, ma sentirsi soli, completamente soli.
Le circostanze che si erano create per quella situazione si svolsero molto velocemente senza nemmeno avere il tempo di reagire, e allora pensava che il presente modificava anche l’imminente futuro.
Rimane il fatto che Molly decideva per sé stessa qualunque cosa, le sue azioni erano libere da giudizi, prese di posizione, agiva senza che nessuno avesse voglia di criticarla. Si sentiva bene, con tutto, con tutti. Era accettata, apprezzata, stimolata da ogni punto della nuova città che la circondava. Amava tutto in quella nuova scoperta. Quell’incessante guardarsi intorno e captare in ogni cosa l’ispirazione per andare avanti e sentire il suo stato d’animo cambiare.
Ma c’era sempre qualcosa che succedeva per ingannarla di nuovo e farla inciampare su se stessa.

“I don’t under stand why but even though I’m on the other part of the world people say always the same things about me: strange, weird, special?
Somebody says that “it’s better to be weird than boring as such as a common person”.
Well sometimes I would like to feel like a “normal” one.
I don’t know why but in some situations I feel really uncomfortable like when you are thrown in a box. Nobody cares.
I could stay hours thinking about how to change my self to be someone else. It’s a very tough work.
Sometimes I tell my self that I’m fine on this way but there’s a part of me that wants to let me be the me I will never be.
It makes me suffer ‘cus I always think how to make that changement.
The more I try the less I can’t do it.
I feel a kind of pain when I push my self on the top of the best. I am conscious that perfection doesn’t exist but I need it”.

sabato 6 dicembre 2008

ANNA MOLLY_VIII_Cap

“In tensione, come un filo elettrico,
passa la corrente che deve alimentarla,
ma la scarica troppo forte rischia di schiantarla
verso la morte.
Un urto elettrico fatto di scintille e sbalzi di luce,
l’irrequietezza interna fulmina chi mi sta intorno.
Disturbata dalle onde di invidia
trova l’instabilità che non merita,
solo un intervanto esterno la potrà calmare
senza che si butti in un lago,
fermando definitivamente il dolore provocato.
Sfinita cade, e non una mano ad aiutarla,
perché troppo impauriti ad essere coinvolti
in quel pericoloso e complesso mondo.”

“Sto cercando di dare un senso alla mia vita, dargli un senso perché altrimenti non troverei la voglia di viverla, e questo mi spaventa, forse è un problema che tutti quelli della mia età si pongono, o forse no, ma comunque io ne ho bisogno!
Non voglio ridurmi all’ultimo momento pensando di aver buttato un pezzo di me stessa in un tempo che non è stato mio, mi deprime sapere che avrei potuto fare tanto altro, ma che per colpa mia non ho fatto. Mi deprime e mi fa venire voglia di odiarmi perché non sono stata capace di saper sfruttare al meglio questo tempo unico ed irripetibile che è la mia vita, che non solo non potrò riavere, ma non so nemmeno quando potrà finire.
Forse dovrei ritenermi fortunata per tutto quello che ho, ma è proprio questo il motivo, la mia fortuna deve essere anche quella di qualcun altro! La mia vita fortunata deve essere la vita fortunata di altri, è questo che voglio, è questo che devo riuscire a fare, è questo quello che VOGLIO!
Ho anche tanta voglia di sentirmi bene, per questo devo vivere senza alcuna pressione, alcuna sensazione di depressione, solo il rumore soave della vita che va vissuta in pieno in tutta la sua assolutezza. Il Mondo non dipende da come sei o da come appari. Il Mondo dipende dalla tua persona e da quanto tieni ad essa. L’unico motivo che ci deve spingere a renderci migliori è proprio quello di sentirci parte del Mondo, non come persone uniche viventi, ma come figure indispensabili e necessarie agli altri e a ciò che ci circonda. Sfruttarci per quello che siamo realmente e per quello che abbiamo a disposizione per far capire, a chi lo ignora, che il miglioramento della vita sta nel metterla a disposizione e condividerla in modo saggio e conscio. La sensazione del “dovuto” non deve angosciarci, tutto deve essere estremamente volontario e sommerso da quella inverosimile voglia di dare per non necessariamente ricevere.”.

Anna Molly aveva ricevuto dalla vita un dono inestimabile, oltre alla vita stessa, la necessità di voler essere vicina agli altri nella fortuna di essere sana e in salute, con la voglia di vivere, almeno fino a quel momento.
Quando capì che si stava ammalando non riusciva più a sentire quella vivacità che l’aveva sempre accompagnata.
Il volontariato era per lei non solo un modo per sentirsi utile, ma mettere in comune quello che per lei era la cosa più importante, la fortuna di poter aiutare il prossimo. Desideri ne aveva tanti da questo punto di vista, troppi, alcuni anche importanti, ma infranti anche se disperatamente cercati. Le prime cantonate cominciarono a farle perdere quella fiducia che tanto aveva cercato di creare, che a poco a poco si sciolse dietro stupide illusioni, forse.
Fu a quel punto che il futuro si faceva sempre più incerto e lei non aveva la capacità di vedersi in quel nuovo stato d’animo che la pervadeva. Nemmeno l’inerzia della vita stessa riusciva a darle la carica, neppure la sveglia la mattina era un valido motivo per alzarsi, anche se lo faceva, perché doveva.
Odiava il fatto di perdere tempo in quel modo. Non sopportava vedersi in quello stato e allora si alzava.
Il Tempo era da sfruttare, ogni piccolo minuto, secondo, qualunque cosa fosse successa in quella giornata sarebbe stata comunque utile, ovviamente perché “Nulla succede per caso”.
Secondo lei anche quella sua sofferenza doveva servire a qualcosa, anche se il tormento non aveva poi così senso, secondo me era una stupida giustificazione per le sue assurde azioni.

lunedì 1 dicembre 2008

ANNA MOLLY_VII_Cap

Anna Molly non capiva.
Aveva troppe sensazioni che non la rendevano libera dai pensieri negativi. Aveva voglia che gli altri si accorgessero di lei, percepiva tutto come un disagio continuo, e pur chiedendosi cosa non andasse, trovava sempre il modo di buttarsi più giù e si deprimeva.
Sapeva che da sola non avrebbe risolto il suo problema e più lo teneva stretto più questo si impossessava di lei, inducendola alle azioni che lei stessa giudicava controproducenti su tutti i piani della vita.
L’ossessione per l’accettazione di sé era ormai diventata una sorta si droga, quando non si accettava si riempiva e si svuotava, si sentiva meglio, poi se riaccadeva, lo rifaceva. Più facile di così.
Molly sentiva verso le persone un’attrazione di supporto nei loro confronti, le piaceva star loro vicino perché lei ne aveva bisogno. Apprendeva il dolore che risiedeva nell’animo altrui e non sopportava che potessero sentirsi come lei, quindi cercava in tutti i modi di aiutarli, facendosi carico anche delle pene e del dolore. La sua non era compassione convenevole, era sincera, si sentiva quasi responsabile della loro situazione e se decideva di star loro vicino si comportava da amica.
Le persone si sono sempre fidate di lei, svelando anche la parte profonda di un animo che non si poteva neppure immaginare, quello che lei non mostrava.
Alle volte penso che non voleva ingombrare la vita degli altri con i suoi problemi, credeva che dato che erano un peso per lei figuriamoci per gli altri, inoltre pensava sempre che al “mondo” delle sue cose non importasse assolutamente niente, come il resto della sua vita.
Si commuoveva davanti ai visi tormentati altrui, aveva sempre voglia di ascoltare chi ne aveva bisogno, si prodigava per questo “Se hai bisogno di parlare, se vuoi sfogarti, sappi che ci sono”, non aveva paura di esporsi così, ma del contrario.
Emotivamente latitava affetto, era stitica, non si lasciava andare facilmente ad un ti voglio bene spontaneo, aspettava sempre che fosse qualcun altro a dirlo prima di lei.

“Sono due giorni che ho una voglia matta di morire.
Perché? Insomma non parlo di suicidio, ma solo una via di scampo dalla situazione che sto vivendo, una maniera, non per scavalcare l’ostacolo, ma eliminarlo completamente.
Cosa ci vuole? Io ho bisogno di parlarne e quando tengo tutto così dentro mi viene voglia solo di implodere. Chiudersi in se stessi non fa bene, ma qualche volta è l’unico modo per comprimere l’odio verso se stessi e non farlo sentire agli altri.
Spesso mi chiedo se veramente voglio vivere la vita che mi si sta svolgendo avanti gli occhi, non vedo via di scampo, non vedo una minima voglia di farmi forza.
Mi sento sola, di nuovo completamente troppo sola.
Lo so che non mi rendo conto di tutto quello che cazzo mi sta succedendo.
Mi faccio pena, schifo, mi odio, mi faccio del male ogni giorno di più e tutto perché non ho uno straccio di autostima e rispetto verso me stessa!
Trovo assolutamente inutile me stessa.
Odio tutto, mi viene voglia i spaccarmi la faccia ogni volta che mi guardo allo specchio, ecco che mi rimetto a piangere, ma come cazzo sono fatta male.
Oggi come se non bastasse sono stata anche mandata a fare in culo da un tizio che mi piaceva, ma che ovviamente come sempre c’erano problemi per sentirsi, ma lasciamo stare, tanto era una cosa completamente impossibile da poter reggere, quindi è andata bene com’è andata. Anche se ci si sta veramente di merda in tutto e per tutto!
Mi sento sempre di più una disadattata, come quelli che si chiudono dentro casa e non escono più, ecco io uguale, solo che sono chiusa nella mia corazza corporale, che ho costruito a puntino in questi anni della mia vita.
Non un minimo di sgarro per quella che mi sono imposta di essere anche se ultimamente sto perdendo colpi!
Perché questi problemi escono fuori tutti solo adesso!”

Anna Molly era una perfezionista. Odiava che qualunque cosa facesse non andasse secondo i suoi piani. Era disposta a qualsiasi tipo di sacrificio pur di terminare e vedere la faccia soddisfatta di chi magari le avesse chiesto un favore, un aiuto, una qualunque faccenda. Se non ne era in grado faceva in modo da poter apprendere nella maniera più celere e soddisfare le richieste.
Questo suo modo di porsi l’aveva resa affidabile e responsabile, ma la continua ricerca di questa perfezione aveva anche intaccato il suo cervello, dando forma a quella che era anche l’ossessione della perfezione del proprio aspetto.
Non andava mai bene nulla, qualunque cosa indossasse, mangiasse, mettesse nei capelli o alle orecchie, era sempre tutto inadatto, ma dopotutto era lei ad aver comprato tutto ciò.
Passava giorni in cui vestiva decentemente, altri giorni che se si metteva sotto un ponte poteva anche chiedere l’elemosina. Credo glie l’avrebbero fatta un po’ di carità.
Anche questa era una sofferenza per lei, rincorrere una perfezione che non esiste. Non lo capiva questo, per lei era assolutamente inconcepibile non riuscire ad esserlo. Chiunque incontrasse era meglio di lei, incarnavano tutti la perfezione che lei bramava, sarebbe stata capace di vendere l’anima al diavolo per questo. Un intero periodo all’inseguimento di qualcosa che non c’è. Mi faceva pena per questo, ma anche io non sapevo bene come aiutarla, avevo paura di quello che potesse scattare nella sua testa da un momento all’altro. Era imprevedibile da certi punti di vista.
Passava le serate a leggere libri ed ascoltare musica. La televisione la annoiava, oppure disegnava.
Disegnava una vita ideale, piena di colori vivaci, linee curve che donavano armonia al suo pensiero, ma la rabbia agiva subdolamente nella testa.
Aveva dimenticato cosa fosse la felicità e cercava di ricalcarla sui fogli con pennarelli e matite colorate, voleva essere felice e sentirsi bene.
Il livello di sopportazione del suo corpo nell’essere continuamente maltrattato era arrivato al limite.

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